Like I knew I would,
I told you I was trouble,
You know that I'm no good"
Quello di ricordare Amy Winehouse da queste pagine è un dovere verso la cronaca, ma anche verso la musica stessa.
Lo pensiamo noi, e lo diceva già Lester Bangs, "il culto della celebrità è un feticismo dell'intermediario"; Amy certamente aveva cartucce ricoperte d'oro nel suo fucile, e la tragedia nella tragedia sta nel fatto che lo abbia puntato contro se stessa. Ma ci resta la sua musica, la sua voce, in eterno: una grandezza indiscutibile, un patrimonio che - e lo speriamo - dovrà essere amministrato senza sfruttarne l'immagine, senza bisogno di vendere la sua storia. Un talento così evidente va celebrato per quello che lascia, non per come se n'è andato.